All’interno del settore finanziario si sta iniziando a discutere delle potenzialità della valuta digitale dei BRICS di sostituire il petrodollaro.
La valuta digitale dei BRICS non esiste ancora, e non sarà una criptovaluta basata su blockchain. Sarà invece una CBDC molto simile allo yuan digitale cinese, già esistente, o al dollaro digitale che la Fed sta studiando, ma che per ora molto probabilmente non emetterà.
La valuta digitale dei BRICS per sostituire il petrodollaro
Nel 1999 alcuni stati dell’Unione Europea decisero di creare una moneta unica, l’euro, ed una nuova banca centrale comune, la BCE.
L’euro non period una valuta digitale, perché all’epoca non esistevano ancora valute nativamente digitali, ed period stata pensata per sostituire le valute nazionali.
Da qualche tempo a questa parte anche i BRICS stanno discutendo di creare una valuta comune.
Si tratta però innanzitutto di una valuta nativamente digitale emessa dalle banche centrali (una cosiddetta CBDC), ma a quanto pare non sembra destinata a sostituire le valute nazionali.
I BRICS inizialmente erano quattro (Brasile, Russia, India e Cina), a cui successivamente si è aggiunto il Sudafrica. Più di recente si sono aggiunti anche Egitto, Emirati Arabi Uniti (UAE), Etiopia e Iran.
Il loro obiettivo in ambito monetario non è sostituire le loro valute nazionali con un’unica valuta comune, ma aggredire il ruolo di valuta di riferimento mondiale del dollaro statunitense.
D’altronde almeno tre dei Paesi aderenti ai BRICS (Russia, Cina e Iran) sono fortemente anti-americani, con altri tre (Brasile, India e UAE) che stanno cercando di crescere per ritagliarsi un ruolo da protagonista sullo scacchiere mondiale.
Il “petrodollaro” verrà sostituito dalla valuta digitale dei BRICS
Il dollaro statunitense è ormai da diversi decenni la valuta di riferimento a livello globale, soprattutto da quando è imploso il blocco comunista che period capeggiato dall’Unione Sovietica.
Spesso viene chiamato anche “petrodollaro” perché il mercato globale del petrolio è di fatto alimentato e gestito con i dollari USA (USD), e non nelle valute nazionali.
Il fatto è che, con l’ascesa della Cina, gli USA non dominano più il mondo in modo assoluto, e quindi anche la loro valuta nazionale non è più la dominatrice unica ed incontrastata del mercato globale del petrolio.
Quindi la Cina in primis sta cercando di creare anche un mercato globale alternativo del petrolio non alimentato più in USD.
Forse anche per questo motivo qualche anno fa ha creato lo yuan digitale, che però non sembra avere alcuna reale possibilità di sostituire il petrodollaro a livello globale.
Il fallimento dello yuan digitale
Lo yuan digitale è stato lanciato dalla banca centrale cinese come la versione nativamente digitale della sua valuta nazionale, lo yuan (o renmimbi). È di fatto la CBDC della Cina.
Nonostante in Cina sia in circolazione ormai da qualche anno, non ha affatto riscontrato successo.
Il motivo, molto probabilmente, è la sua eccessiva centralizzazione.
Infatti sebbene anche lo yuan tradizionale sia centralizzato, quello nativamente digitale da questo punto di vista è molto peggio, perché prevede che tutte le transazioni siano registrate sul registro della banca centrale, e non siano anonime.
Dato che in Cina c’è una dittatura di partito, i cinesi sanno benissimo quali rischi corrono utilizzando una valuta che consente allo Stato (e quindi al partito unico) di conoscere tutte le loro transazioni.
Sapendo con certezza chi sono tutti i mittenti e tutti i destinatari di tutte le transazioni, e con gli importi registrati in chiaro, non è affatto difficile per la banca centrale controllata dallo Stato (e quindi dal partito unico) spiare qualsiasi movimento di denaro effettuato da qualsiasi cittadino cinese che utilizza lo yuan digitale
I cinesi non si fidano (e fanno bene), e non voglio usarlo.
Il fallimento dello yuan digitale
La valuta digitale dei BRICS dal punto di vista tecnico dovrebbe essere qualcosa di simile alla CBDC cinese, e di profondamente diverso dalle criptovalute decentralizzate come Bitcoin.
Tuttavia dato che il suo obiettivo non sembra essere quello di sostituire le valute nazionali dei Paesi membri, è molto difficile immaginare che possa riscontrare problemi simili a quelli che sta riscontrando lo yuan cinese.
D’altronde se la Cina ha accettato di provare a sviluppare una valuta digitale comune dei Paesi BRICS, nonostante abbia già una sua valuta nativamente digitale, probabilmente è perchè ha capito che la sua valuta digitale può essere accettata solo in patria, perché c’è lo Stato (ovvero il partito unico) che la impone.
All’estero lo Stato cinese non può imporre l’utilizzo della propria valuta, quindi l’thought di far utilizzare lo yuan digitale come valuta globale pare tramontata.
A questo punto però occorre chiedersi: se la valuta digitale dei BRICS sarà simile allo yuan digitale, avrà comunque gli stessi problemi?
Per quanto riguarda le grandi transazioni di denaro i problemi di privateness potrebbero essere minori, perchè sono comunque già transazioni che difficilmente passano inosservate.
Ma per quanto riguarda le transazioni di importi minori significherebbe portarle tutte alla luce del sole, ovvero concedere alle banche centrali che gestiranno il registro di questa valuta digitale la facoltà di leggerle tutte in chiaro, compresi i nomi dei mittenti e dei destinatari.
La sostituzione del dollaro
La stessa cosa potrebbe accadere nel caso in cui gli USA rilasciassero una loro valuta nativamente digitale nazionale e riuscissero advert imporne l’utilizzo anche a livello globale, in sostituzione dell’attuale dollaro nativamente analogico. Ma forse non è un caso che gli USA abbiano deciso di desistere, perlomeno per ora, dal fare una cosa simile.
Tuttavia per quanto riguarda il petrodollaro va sottolineato come ormai il maggior importatore di petrolio al mondo non siano più gli USA, ma la CIna.
Gli USA sono il Paese al mondo che consuma più petrolio, ma sono anche dei grandi produttori. Ne consumano in media 19,4 milioni di barili al giorno, ma ne producono 11,3 milioni. Quindi riescono a coprire quasi il 60% dei consumi con la produzione interna, e così ne importano “solamente” in media 7,9 milioni al giorno.
Il maggior importatore è la Cina, con 8,4 milioni di barili al giorno in media, anche perchè il gigante asiatico ne produce meno di 4 milioni al giorno.
Il maggior esportatore invece è l’Arabia Saudita, con 10,6 milioni di barili al giorno, seguita dalla Russia con 5,2 milioni.
Pertanto solo la Cina sembra avere il potere di scardinare la situazione attuale che vede il petrodollaro come dominatore dei mercati globali.
Va ricordato che il petrolio greggio è in assoluto la merce più scambiata al mondo negli ultimi decenni.
Molto dipenderà anche dall’atteggiamento dell’Arabia Saudita, che da un lato risulta ancora molto legata agli USA, ma dall’altro sta ovviamente aprendo nuovi legami anche e soprattutto con la Cina.
La situazione pertanto è in evoluzione, ed in questo momento è molto difficile stabilire da che parte finirà per pendere.